martedì 22 dicembre 2009

LA PACE (Alda Merini)

La pace che sgorga dal cuore
e a volte diventa sangue,
il tuo amore
che a volte mi tocca
e poi diventa tragedia
la morte qui sulle mie spalle,
come un bambino pieno di fame
che chiede luce e cammina.
Far camminare un bimbo è cosa semplice,
tremendo è portare gli uomini
verso la pace,
essi accontentano la morte
per ogni dove,
come fosse una bocca da sfamare.

mercoledì 16 dicembre 2009

G. Di Vittorio Discorso a poche ore dalla morte

La mattina del 3 novembre 1957, poche ore prima di morire, Giuseppe Di Vittorio tiene questo discorso ai dirigenti e agli attivisti sindacali di Lecco.

Lo so, cari compagni, che la vita del militante sindacale di base è una vita di sacrifici. Conosco le amarezze, le delusioni, il tempo talvolta che richiede l’attività sindacale, con risultati non del tutto soddisfacenti. Conosco bene tutto questo, perché anch’io sono stato attivista sindacale: voi sapete bene che io non provengo dall’alto, provengo dal basso, ho cominciato a fare il socio del mio sindacato di categoria, poi il membro del Consiglio del sindacato, poi il Segretario del sindacato, e così via: quindi, tutto quello che voi fate, che voi soffrite, di cui qualche volta anche avete soddisfazione, io l’ho fatto. Gli attivisti del nostro sindacato, però, possono avere la profonda soddisfazione di servire una causa veramente alta. [...]

Invito a discutere su questo: è giusto che in Italia, mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? E’ giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori stessi e delle loro famiglie, delle loro creature? E’ giusto questo? Di questo dobbiamo parlare, perché questo è il compito del sindacato. [...]

Avete visto che cosa è avvenuto: mano a mano che il capitalismo riusciva ad infliggere dei colpi al sindacato di classe e alla CGIL, e quindi a indebolire la classe operaia, non solo si è verificata una differenza di trattamento dei lavoratori, ma come conseguenza di questa differenza di trattamento, si è aperto un processo in Italia che tuttora continua. [...] Si sono aperte le forbici, si è prodotto uno squilibrio sociale profondo nella società italiana. Supponete, per esempio, che il rapporto fra salari e profitti fosse 100 per i salari e 100 per i profitti nel 1948. Come è andato sviluppandosi il processo? I profitti da 100 sono andati a 110, i salari sono rimasti a 100. Poi i profitti sono andati a 150, i salari sono andati a 105; i profitti sono andati a 200, i salari sono andati a 107; i profitti sono andati a 300, i salari rimangono a 107-8-9. Quindi si sono aperte due curve: i profitti si alzano sempre più e i salari stentano a salire, rimangono sempre in basso. Le conseguenze, allora, di questi colpi ricevuti dalla CGIL ad opera del grande capitalismo, delle scissioni, delle divisioni dei lavoratori quali sono state? Ecco: le due curve, la curva dei profitti che aumenta sempre di più, e la curva dei salari che rimane sempre in basso. [...]

La nostra causa è veramente giusta, serve gli interessi di tutti, gli interessi dell’intera società, l’interesse dei nostri figliuoli. Quando la causa è così alta, merita di essere servita, anche a costo di enormi sacrifici. So che una campagna come quella per il tesseramento sindacale richiede dei sacrifici, so anche che dà, certe volte, delusioni amare. Ci sono ancora lavoratori che non hanno compreso, ma non bisogna scoraggiarsi. Pensate sempre che la nostra causa è la causa del progresso generale, della civiltà della giustizia fra gli uomini.

Lavorate sodo, dunque, e soprattutto lottate insieme, rimanete uniti. Il sindacato vuol dire unione, compattezza. Uniamoci con tutti gli altri lavoratori: in ciò sta la nostra forza, questo è il nostro credo.

Lavorate con tenacia, con pazienza: come il piccolo rivolo contribuisce a ingrossare il grande fiume, a renderlo travolgente, così anche ogni piccolo contributo di ogni militante confluisce nel maestoso fiume della nostra storia, serve a rafforzare la grande famiglia dei lavoratori italiani, la nostra CGIL, strumento della nostra forza, garanzia del nostro avvenire.

Quando si ha la piena consapevolezza di servire una grande causa, una causa giusta, ognuno può dire alla propria donna, ai propri figliuoli, affermare di fronte alla società, di avere compiuto il proprio dovere. Buon lavoro, compagni.

Discorso di G. Di Vittorio a poche ora dalla morte

La mattina del 3 novembre 1957, poche ore prima di morire, Giuseppe Di Vittorio tiene questo discorso ai dirigenti e agli attivisti sindacali di Lecco.

Lo so, cari compagni, che la vita del militante sindacale di base è una vita di sacrifici. Conosco le amarezze, le delusioni, il tempo talvolta che richiede l’attività sindacale, con risultati non del tutto soddisfacenti. Conosco bene tutto questo, perché anch’io sono stato attivista sindacale: voi sapete bene che io non provengo dall’alto, provengo dal basso, ho cominciato a fare il socio del mio sindacato di categoria, poi il membro del Consiglio del sindacato, poi il Segretario del sindacato, e così via: quindi, tutto quello che voi fate, che voi soffrite, di cui qualche volta anche avete soddisfazione, io l’ho fatto. Gli attivisti del nostro sindacato, però, possono avere la profonda soddisfazione di servire una causa veramente alta. [...]

Invito a discutere su questo: è giusto che in Italia, mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? E’ giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori stessi e delle loro famiglie, delle loro creature? E’ giusto questo? Di questo dobbiamo parlare, perché questo è il compito del sindacato. [...]

Avete visto che cosa è avvenuto: mano a mano che il capitalismo riusciva ad infliggere dei colpi al sindacato di classe e alla CGIL, e quindi a indebolire la classe operaia, non solo si è verificata una differenza di trattamento dei lavoratori, ma come conseguenza di questa differenza di trattamento, si è aperto un processo in Italia che tuttora continua. [...] Si sono aperte le forbici, si è prodotto uno squilibrio sociale profondo nella società italiana. Supponete, per esempio, che il rapporto fra salari e profitti fosse 100 per i salari e 100 per i profitti nel 1948. Come è andato sviluppandosi il processo? I profitti da 100 sono andati a 110, i salari sono rimasti a 100. Poi i profitti sono andati a 150, i salari sono andati a 105; i profitti sono andati a 200, i salari sono andati a 107; i profitti sono andati a 300, i salari rimangono a 107-8-9. Quindi si sono aperte due curve: i profitti si alzano sempre più e i salari stentano a salire, rimangono sempre in basso. Le conseguenze, allora, di questi colpi ricevuti dalla CGIL ad opera del grande capitalismo, delle scissioni, delle divisioni dei lavoratori quali sono state? Ecco: le due curve, la curva dei profitti che aumenta sempre di più, e la curva dei salari che rimane sempre in basso. [...]

La nostra causa è veramente giusta, serve gli interessi di tutti, gli interessi dell’intera società, l’interesse dei nostri figliuoli. Quando la causa è così alta, merita di essere servita, anche a costo di enormi sacrifici. So che una campagna come quella per il tesseramento sindacale richiede dei sacrifici, so anche che dà, certe volte, delusioni amare. Ci sono ancora lavoratori che non hanno compreso, ma non bisogna scoraggiarsi. Pensate sempre che la nostra causa è la causa del progresso generale, della civiltà della giustizia fra gli uomini.

Lavorate sodo, dunque, e soprattutto lottate insieme, rimanete uniti. Il sindacato vuol dire unione, compattezza. Uniamoci con tutti gli altri lavoratori: in ciò sta la nostra forza, questo è il nostro credo.

Lavorate con tenacia, con pazienza: come il piccolo rivolo contribuisce a ingrossare il grande fiume, a renderlo travolgente, così anche ogni piccolo contributo di ogni militante confluisce nel maestoso fiume della nostra storia, serve a rafforzare la grande famiglia dei lavoratori italiani, la nostra CGIL, strumento della nostra forza, garanzia del nostro avvenire.

Quando si ha la piena consapevolezza di servire una grande causa, una causa giusta, ognuno può dire alla propria donna, ai propri figliuoli, affermare di fronte alla società, di avere compiuto il proprio dovere. Buon lavoro, compagni.

giovedì 3 dicembre 2009

Parte del discorso di insediamento di Sandro Pertini

Bisogna sia assicurato il lavoro ad ogni cittadino. La disoccupazione è un male tremendo che porta anche alla disperazione. Questo, chi vi parla, può dire per personale esperienza acquisita quando in esilio ha dovuto fare l'operaio per vivere onestamente. La disoccupazione giovanile deve soprattutto preoccuparci, se non vogliamo che migliaia di giovani, privi di lavoro, diventino degli emarginati nella società, vadano alla deriva, e disperati, si facciano strumenti dei violenti o diventino succubi di corruttori senza scrupoli.
(Sandro Pertini - Roma, 9 luglio 1978)

venerdì 27 novembre 2009

Calamandrei – Discorso agli studenti milanesi (1955)

La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica. È un po’ una malattia dei giovani l’indifferentismo. «La politica è una brutta cosa. Che me n’importa della politica?». Quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina che qualcheduno di voi conoscerà: di quei due emigranti, due contadini che traversano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime, che il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda ad un marinaio: «Ma siamo in pericolo?» E questo dice: «Se continua questo mare tra mezz’ora il bastimento affonda». Allora lui corre nella stiva a svegiare il compagno. Dice: «Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare il bastimento affonda». Quello dice: «Che me ne importa? Unn’è mica mio!». Questo è l’indifferentismo alla politica.

È così bello, è così comodo! è vero? è così comodo! La libertà c’è, si vive in regime di libertà. C’è altre cose da fare che interessarsi alla politica! Eh, lo so anche io, ci sono… Il mondo è così bello vero? Ci sono tante belle cose da vedere, da godere, oltre che occuparsi della politica! E la politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai. E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perchè questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica…
Quindi voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come vostra; metterci dentro il vostro senso civico, la coscienza civica; rendersi conto (questa è una delle gioie della vita), rendersi conto che nessuno di noi nel mondo non è solo, non è solo che siamo in più, che siamo parte, parte di un tutto, un tutto nei limiti dell’Italia e del mondo. Ora io ho poco altro da dirvi.

In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie. Sono tutti sfociati qui in questi articoli; e, a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane…
E quando io leggo nell’art. 2: «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale»; o quando leggo nell’art. 11: «L’Italia ripudia le guerre come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», la patria italiana in mezzo alle altre patrie… ma questo è Mazzini! questa è la voce di Mazzini!
O quando io leggo nell’art. 8:«Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge», ma questo è Cavour!
O quando io leggo nell’art. 5: «La Repubblica una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali», ma questo è Cattaneo!
O quando nell’art. 52 io leggo a proposito delle forze armate: «l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», esercito di popoli, ma questo è Garibaldi!
E quando leggo nell’art. 27: «Non è ammessa la pena di morte», ma questo è Beccaria! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani…
Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti! Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, cha hanno dato la vita perché libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, è un testamento, è un testamento di centomila morti.
Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove fuorno impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.

domenica 25 ottobre 2009

Estratto del Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale Roma 11/02/1950

…….La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola "l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di creare il sangue………..
la scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall'afflusso verso l'alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l'alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società……
A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità (applausi). Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali.

sabato 10 ottobre 2009

IMMAGINIAMO CHE....

Immaginiamo che nostro figlio in una foto di gruppo a scuola facesse le corna sopra la testa della prof, che volesse scegliersi la professoressa per l'interrogazione, poiché rappresentante di classe eletto direttamente dai suoi compagni è giustificato per non essere presente alle lezioni, frequenta la quinta classe ma molesta le ragazzine delle prime classi, ad un compagno di classe di colore gli dicesse "abbronzato", che i professori offendessero il preside in presenza degli alunni, etc, etc,ecco, facciamo così, non immaginiamo niente perchè solo il pensiero ci fa tremendamente in.....zzare!!!

sabato 1 agosto 2009

"Le morti bianche" di Michael Santhers

L'operaio capì che l'inferno è sulla terra e il paradiso sono quelle ali che ti fanno volare sopra le miserie.

Dall'ultimo piano, il decimo piano, guardò il cielo, fece per toccare una nuvola con un dito e precipitò nel vuoto.

Le chiamano morti bianche come avvenissero senza sangue.

Sono morti inopportune che spesso avvengono quando l'informazione è già impegnata in altri eventi.

Sono cadaveri con vite banali, sono numeri decimali che non incidono sul bilancio.

Sono cani che hanno abbaiato nel qualunquismo per mestiere, sono un nome nell'anagrafe che si cancella come un'impronta nel deserto in pieno vento, sono i ricordi sbiaditi del giorno dopo.

sabato 25 luglio 2009

Ciascuno cresce solo se sognato

C'è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c'è chi si sente soddisfatto
così guidato.
C'è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c'è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.
C'è pure chi educa, senza nascondere
l'assurdo ch'è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d'essere franco all'altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.
(Danilo Dolci)

martedì 30 giugno 2009

PENSIERI DI JIBRAN KHALIL JIBRAN

E una donna che reggeva un bimbo al seno disse, Parlaci dei Figli.
E lui disse:
I vostri figli non sono figli vostri.
Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di se stessa.
Essi vengono attraverso voi ma non da voi,
e sebbene siano con voi non vi appartengono.
Potete donare loro il vostro amore ma non i vostri pensieri.
Poiché hanno pensieri loro propri.
Potete dare rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime,
giacchè le loro anime albergano nella casa di domani,
che voi non potete visitare neppure in sogno.
Potete tentare d’esser come loro, ma non di renderli
come voi siete.
Giacchè la vita non indietreggia nè s’attarda sul passato.
VOI SIETE GLI ARCHI DAI QUALI I VOSTRI FIGLI ,
VIVENTI FRECCE,
SONO SCOCCATI INNANZI.
L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito,
e vi tende con la sua potenza affinchè le sue frecce possano
andare veloci e lontano.
Sia gioioso il vostro tendervi nella mano dell’Arciere;
poiché se ama il dardo sfrecciante,
così ama l’arco che saldo rimane.
(K. Gibran)

mercoledì 24 giugno 2009

ER COMPAGNO SCOMPAGNO

Un Gatto, che faceva er socialista
solo a lo scopo d'arivà in un posto,
se stava lavoranno un pollo arosto
ne la cucina d'un capitalista.
Quanno da un finestrino su per aria
s'affacciò un antro Gatto: - Amico mio,
pensa - je disse - che ce so' pur'io
ch'appartengo a la classe proletaria!
Io che conosco bene l'idee tue
so' certo che quer pollo che te magni,
se vengo giù, sarà diviso in due:
mezzo a te, mezzo a me...Semo compagni!
No, no - rispose er Gatto senza core -
io nun divido gnente co' nessuno:
fo er socialista quanno sto a diggiuno,
ma quanno magno so' conservatore!
(Trilussa)

venerdì 12 giugno 2009

COMPAGNO

" Nel nostro dialetto (Emilia Romagna) la parola compagno, oltre a significare amico o consorte, ha un altro uso che mi ha sempre fatto riflettere. Esprime uguaglianza: ma un'uguaglianza di tipo particolare. Si dice, ad esempio, che una scarpa è compagna di un'altra: eppure l'una è destra e l'altra è sinistra. Questa uguaglianza di sostanza al di sopra della forma mi ha sempre colpito. Mi sembra che contenga qualche insegnamento. Dopo abbiamo imparato ad usare il termine compagno per indicare posizioni politiche omogenee. Per cui in sezione un architetto e un bracciante si chiamano compagni: sono tutti e due di sinistra , anche se sono una scarpa e uno zoccolo. La divisione del nostro paese fra socialcomunisti e democristiani ha significato che in un negozio politico trovavi solo scarpe di sinistra e nell'altro solo quelle di destra. Forse è per questo che la povera gente ha camminato con difficolta in questi anni."
(Cipolle e Libertà - F. Bozzini)

domenica 7 giugno 2009

E POI HO VOTATO

Non avrei voluto votare.
Per quello che non ha fatto la sinistra quando era al governo, per quello che ha fatto quando era al governo, per quello che sta facendo ora che è all’opposizione e per quello che non sta facendo ora che è all’opposizione. Per come ha scelto i candidati, per come cambia il segretario nazionale, per come gestisce il partito, per come gestisce le aziende pubbliche, per come investe poco sui giovani, per le solite facce che propone, perché non parla chiaro per stare con un piede da una parte e con un piede dall’altra parte, per eccetera, eccetera…..ma poi ho votato perché chi governa ora è peggio del peggio del peggio!!!

sabato 25 aprile 2009

25 APRILE FESTA DI LIBERAZIONE

Nonno, tu non ci sei più ma i tuoi racconti sulla resistenza vivono in me. Grazie alla tua generazione ed ai sacrifici che avete fatto, oggi, siamo liberi e non più sotto dittatura fascista. No, tu e i tuoi compagni partigiani non potete essere ricordati, come qualcuno vorrebbe, insieme ai repubblichini di Salò. Mai! Non morirai mai nei miei ricordi. Buon 25 Aprile, Nonno.

martedì 7 aprile 2009

mercoledì 25 marzo 2009

martedì 17 marzo 2009

domenica 15 febbraio 2009

LA BALLATA DELL'ANGELO FERITO (PER ELUANA ENGLARO) di Guido Ceronetti

Urlate urlate urlate urlate.
Non voglio lacrime. Urlate.
Idolo e vittima di opachi riti
Nutrita a forza in corpo che giace
Io Eluana grido per non darvi pace

Diciassette di coma che m’impietra
Gli anni di stupro mio che non ha fine.
Una marea di sangue repentina
Angelica mi venne e fu menzogna
Resto attaccata alla loro vergogna

Ero troppo felice? Mi ha ghermita
Triste fato una notte e non finita.
Gloria a te Medicina che mi hai rinata
Da naso a stomaco una sonda ficcata
Priva di morte e orfana di vita

Ho bussato alla porta del Gran Prete
Benedetto: Santità fammi morire!
Il papa è immerso in teologica fumata
Mi ha detto da una finestra un Cardinale
Bevi il tuo calice finché sia secco
Ti saluta Sua Santità con tanto affetto

Ho bussato alla porta del Dalai Lama.
Tu il Riverito dai gioghi tibetani
Tu che il male conosci e l’oppressura
Accendimi Nirvana e i tubi oscura
Ma gli occhi abbassa muto il Dalai Lama

Ho bussato alla porta del Tribunale
E il Giudice mi ha detto sei prosciolta
La legge oggi ti libera ma tu domani
Andrai tra di altri giudici le mani.
Iniquità che predichi io gemo senza gola
Bandiera persa qui nel gelo sola

Ho bussato alla porta del Signore
Se tu ci sei e vedi non mi abbandonare
Chiamami in cielo o dove mai ti pare
Soffia questa candela d’innocente
Ma il Signore non dice e non fa niente

Ho bussato alla porta del padre mio
Lui sì risponde! Figlia ti so capire
Dolcissimo io vorrei darti morire
Ma c’è una bieca Italia di congiura
Che mi sentenzia che non è natura

E il mio papà piangeva da fontana
Me tra ganasce di sorte puttana.
Cittadini, di tanta inferta offesa
Venga alla vostra bocca il sale amaro.
Pensate a me Eluana Englaro

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